Shapers: Intervista con Marco Rizzo, alias Dr.Ank

Per Marco Rizzo, shaper con il marchio Dr.Ank surfboards, il bicchiere è sempre mezzo pieno.. ed il buon umore è di casa. Abbiamo messo insieme gli interessanti frammenti di una chiacchierata con lui, in occasione del decennale della sua SurfHouse., lasciando spazio ai suoi pensieri ed alle sue simpaticissime opinoni.

 
singlefin: dr.ank shaping interview
Com’è iniziata la produzione di tavole da surf? …Mi sono detto: ma mi fai buttar via un po’ di salute e du’ soldi… a parte gli scherzi,… ecco, l’idea di farci dei quattrini ancora non mi è venuta, diciamo che i quattrini non ce li fai…
Alla base di tutto c’è stato il fatto di poter fare un lavoro che mi permettesse di surfare il più possibile. La prima tavola con il marchio di Dr.Ank risale al 1997, infatti quest’anno ricorre il decennale. La prima volta che ho cominciato a maneggiare resine e suoi derivate risale al ’94, ho lavorato per una ditta che produceva windsurf. Poi sono andato alla Eclipse nel ’95, fino a quando non ho coniato la “corporate enterprise”… Dr.Ank appunto. Sono seguite esperienze lavorative all’estero, in California e Australia, ma è storia un po’ più recente.
La strada è stata un po’ spianata dai primi nomi di shaper in Toscana (Costa Ovest) e Lazio (Dirty, X e Pike), che hanno subito l’handicap maggiore per l’utilizzo dei materiali, ed anche quando ho iniziato io, che mi inserisco nella seconda generazione di shaper italiani, non è stato semplice reperire i materiali: alcune cose si potevano trovare, ma molte altre no, non era affatto semplice.
Oggi, fortunatamente, c’è chi ci ha visto un po’ di business in questo mercato e riusciamo a trovare dei materiali di ottima qualità ad un prezzo tutto sommato ragionevole da non essere costretto ad ordinare grossi quantitativi di materiali per poter giustificare un trasporto dall’Australia o dagli Stati Uniti. In particolare i pani poliuretanici reperibili sono di ottima qualità. Riguardo agli altri materiali disponibili come Eps o Xtr non ho esperienza diretta anche perché penso che non siano adatti al tipo di tavole che producono, in particolare ad esempio i longboard che faccio devono avere un loro peso ed inerzia, e non mi interessa un esasperato rapporto tra leggerezza e resistenza del pane stesso, neanche per quel che riguarda le tavole più performanti e lo dimostrano bene Matteo Mastino o Federico Zanchini che surfano bene proprio con questo tipo di lavorazioni. Le grandi ditte sono “costrette” ad utilizzare altri materiali e ad inventarsi qualche cosa di nuovo per continuare a vendere perché, per come la vedo io, hanno saturato il loro stesso mercato.
Poi anche gli altri materiali sono più economici del poliuretano stesso e si entra in un altro meccanismo, quello del risparmio: su una produzione di migliaia di pezzi, un costo produttivo unitario inferiore, determina un guadagno che fa la differenza. In una produzione artigianale questa differenza non cambia certo la vita.singlefin: dr.ank shaping interview
A proposito delle due tavole in Balsa che ho costruito, al di là del ricercare un prodotto particolare, posso dire che la sensazione che ho avuto nel lavorarle è stata molto bella e che mi sono dovuto documentare sulla tecnica di lavorazione perché non ne avevo mai fatte prima.
Non ho avuto occasione di provarle in acqua, ma posso riportare quello che mi è stato riferito da chi l’ha provata e mi hanno parlato di avere la sensazione di un qualche cosa di “importante” da manovrare, con molta inerzia, che significa ragionare molto prima su come impostare una curva e soprattutto la necessità di avere un’onda che noi non abbiamo molto spesso. Non credo naturalmente che il legno possa mai tornare in voga, però è una bella esperienza ed in ogni caso è adatto allo shape di un longboard comunque classico, non certo per un fish retrò o tavole simili.
Negli ultimi quattro o cinque anni ho spinto molto verso i longboard più performanti, quelli che utilizza Matteo Mastino ad esempio, un po’ per sfatare il mito che io faccia solo tavole diciamo old school, che col mal di schiena che mi è vento sto accuratamente evitando di fare… E’ stata comunque una evoluzione personale. Possiamo dire che io sono partito dalla “scuola” del longboard classico che c’è sulla costa pisana, che si sta anche estinguendo a causa della perdita delle condizioni d’onda giuste nella zona, a causa di vari lavori sul litorale effettuati dalle varie amministrazioni comunali, anche di recente. Era una tipologia di onda, lunga, adatta al longboard più classico, che ha favorito l’evolversi di personaggi come Luca Forte, Nicola Pinzauti, che sono poi quelli che mi hanno messo in contatto con il mondo californiano. Tornando al periodo dal ’93 al ‘97-’98, si trovavano nella zona parecchie tavole non più corte di 9.6, volan pigmentato, pesanti: era un bel periodo. Sicuramente ha contribuito il fatto che il longboard fosse tornato di moda anche a livello internazionale , soprattutto grazie anche a Joel Tudor che all’epoca era un “pischello” e che ha contribuito con Takayama a riportare alla luce mediatica lo stile fatto di manovre fluide ed eleganti.
Ho lavorato a più riprese da Takayama, nel 2002/2003, quando Tudor era già andato via, ma ormai il meccanismo si era instaurato anche in Europa, nelle varie regioni surfistiche. Noi in Italia, sotto certi punti di vista siamo stati anche quasi più avanti come visione, magari non eravamo preparati al meglio tecnicamente, a differenza di adesso ormai da alcuni anni a questa parte.
A livello internazionale, come punti di riferimento nello shaping, a parte ovviamente Donald Takayama che mi ha cambiato la vita, non ho ancora capito se in bene o in male, sicuramente mi piace Daniel in Europa, anche se è un po’ estremo come shape, mi piacerebbe poi fare un giro nelle factory in particolare in Cornovaglia perché ho visto che ci sono shapers che lavorano molto bene, a parte le finiture che sono un po’ approssimative. Spesso da noi in Italia arrivano delle belle tavole australiane o californiane però non ci sono le onde adatte: devo un po’ fare dei compromessi quando fai le tavole per adattarle alle onde che ci sono. Alla fine penso che lo shaper sia come un sarto: deve prenderti le misure ed interpretarle per farti progredire. Mi è capitato spesso di clienti che pretendevano un certo tipo di tavola, con cui ho dovuto mettere in chiaro che non rispondevo del fatto che non fosse la scelta più adatta a loro. Poi sono tornati a dirmi che avevo ragione e che la tavola non andava come volevano loro. Per fortuna poche volte. Mi lusinga la cosa che i ragazzi si fidino abbastanza di quello che cerco di suggerire loro. La prima cosa che dico sempre è quella di dirmi la verità sul proprio livello e su quello che si vuol fare con la tavola, al di là dei propri sogni.
Il viaggio che sicuramente mi ha maggiormente segnato, e che forse mi ha anche cambiato, sicuramente in positivo, è quello in Australia nel 2003: una bellissima esperienza di quattro mesi e mezzo tra Australia, dove ho anche lavorato, e Nuova Zelanda.
Probabilmente, e lo abbiamo visto, se gente dall’Australia o dalla California viene in Italia rimarrebbe stupita della scena surf italiana, non immaginandosi la crescita, o a volte l’esistenza stessa, di un buon numero di praticanti.
Ieri sera sono rimasto “sconvolto”, positivamente, da un ragazzino che è venuto per ordinarmi una tavola, a cui sinceramente non avevo dato molto peso, fino a che non ho scoperto che aveva le idee talmente chiare e precise che mi ha fatto enormemente piacere.
 Alla fine comunque la vita lavorativa e surfistica che ho potuto assaporare in California era un’altra cosa ovviamente: avevo raggiunto un equilibrio che oserei dire quasi perfetto. Se ci ripenso mi viene da chiudere il laboratorio e tornare lì. Poter gestirmi la giornata, poter andare in mare un paio di ore la mattina presto, nel caso di Takayama ad esempio, tornare a lucidare le mie quattro tavole e poi farmi la session serale è stato veramente il massimo. Una volta mi ricordo che mi vide andar via verso le tre del pomeriggio e mi chiese dove stessi andando. Quando gli dissi che andavo in mare rimase interdetto, poi gli dissi che il giorno dopo sarei venuto due ore prima che la marea non era gran chè e si mise a ridere…
Da noi, purtroppo, sei costretto a ritagliarti lo spazio per surfare a forza nel momento che lo decide il mare, altrimenti le onde non le becchi affatto.
Al di là delle onde, in Italia, penso che ci stiamo muovendo nel verso giusto, cercando di presentare al pubblico una realtà che va al di là del “core business”, una realtà vera in cui c’è gente che ci crede e che vuole crescere. Poi non tutti lo capiscono ma non ci si può fare nulla.
Poi vedi cominciano a crescere delle riviste e i siti dedicati alla scena italiana, ci sono tutta una serie di realtà positive, ed altre che confondo un po’ le idee ma comunque credo siamo come in tutti i campi: bisogna anche un po’ saper vedere.
Volevo raccontare una quelle storie tipicamente italiane, senza scendere nella blasfemia più completa: la chiamerei “vento di terra”. Mi ricordo un giorno di quelli terribili, in cui sei a lavorare, tutto il giorno la genti ti chiama e ti manda i messaggi che le onde sono bellissime, ti danni l’anima pur di sbrigarti, prendi la macchina, ti fermano i Carabinieri, la suora ti attraversa sulle strisce e te ci vorresti passare sopra, arrivo accaldatissimo a Forte dei Marmi, senza neanche guardare il mare, ti cambi, prendi la tavola, ti butti dal pontile, prendi un’onda e poi ti giri: toh! Ha girato il vento dal mare che spazza tutte le creste, gli ombrelloni volano sulle Apuane. E lì un po’ ti incazzi!
La prossima volta che faccio un viaggio poi vorrei impostarlo proprio come vacanza anche perché gli ultimi sono stati fatti per reperire materiale foto e video per la prossima uscita del dvd promozionale che sto producendo in collaborazione con SeaBrothers Media Lab per presentare il mio lavoro e un po’ dello stile delle tavole longboard e retrò con personaggi come Matteo Mastino, Alessandro Ponzanelli, Davide Pecchi, Vincenzo Ingletto e me stesso, in Marocco, Tunisia e Sardegna. Anche per far capire, forse con un intento anche pretenzioso, l’uso di queste tavole, e che certe tavole come ad esempio un fish retrò non siano assolutamente tavole per principianti perché partono bene, ma vogliono un suo stile.

[ a cura di MArco MAtteucci / SingleFin]

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