Questa recensione si apre con una delle frasi che  		chiude il film documentario di cui si parla di più in questi giorni: 
 		Riding Giants. Vi chiederete come mai un film come questo, che parla  		di tutto tranne che di longboard, appaia sulle pagine di 
SingleFin.it…devoto   		alla causa della “tavola lunga” e a tutto quello che vi ruota  intorno.  		La risposta è nascosta fra le poche righe della frase  precedente  		pronunciata da Sam George, editor di Surfer Magazine, in  chiusura del  		film: che l’onda sia piccola, media o di grande misura  non conta, la  		passione che guida il surf è la stessa, radicata in  ogni fibra del  		nostro corpo e destinata a non svanire mai…nemmeno di  fronte alle  		mostruosità naturali della North Shore, di Maverick, di  Teahupoo e delle  		talvolta tristi storie che le accompagnano.
Dopo il successo inaspettato di 
Dogtown e gli Z-Boys,  Stacy  		Peralta, pioniere della cultura skateboard nella tremenda e  scomoda  		realtà della Los Angeles anni ’70 nonché fondatore delle  tavole  		Powell-Peralta, si butta a capofitto in uno dei formati più di  moda  		nella moderna rappresentazione visiva della nostra passione: il   		film-documentario.
Con alle spalle una produzione rocciosa, 
Riding Giants fa  		l’occhiolino a 
Step Into Liquid  e ne ripercorre la struttura  		narrativa, caratterizzata da un  alternarsi ben riuscito di interviste e  		filmati originali. Quello che  distingue 
Riding Giants dai suoi  		predecessori, anche  recenti, è il tema filo conduttore della narrazione  		e la ricchezza di  materiale inedito resuscitato dalle polverose  		collezioni personali  di personaggi storici del calibro di Greg Noll e  		Micky Muñoz. Fosse  anche solo per questo motivo, 
Riding Giants  		meriterebbe di essere visto. 
Il film (non il video!) ripercorre la storia del surf delle  grandi onde  		e della (contro)cultura ad essa associata. Partendo dalle  
origini  		polinesiane della nostra passione   (volutamente autolimitate per esigenze  		di pellicola…) fino alla  moderna concezione del Big Wave Surfing, il  		film si dipana attraverso  le biografie surfistiche di tre personaggi  		fondamentali: Greg “Il  Toro” Noll re indiscusso della North Shore  		hawaiiana, il pioniere di  Maverick Jeff Clark e l’egocentrico, possente  		e spettacolare Laird  Hamilton. 		

Attraverso   		le loro storie e le loro avventure, spesso narrate in prima persona,   		anche il profano si affaccia con sguardo curioso al fenomeno  surfistico  		estremo…suscitando ammirazione, invidia e talvolta  disprezzo per lo  		“stupido” gioco che mette a repentaglio la vita di  chi lo pratica,  		questo film non riesce a lasciare indifferente  nemmeno il meno  		interessato a questo sport…ma se avete la fortuna di  essere “uno dei  		nostri” è solo così che potrete apprezzare al massimo  lo spirito che  		questo film vuole tirare fuori da voi: l’amore per il  mare e il rispetto  		per l’oceano.
Ma è il lato umano dei  personaggi che impreziosisce questa pellicola:  		indimenticabili le  lacrime agli occhi di Greg Noll quando descrive la  		sua ultima corsa a  Waimea, l’infanzia difficile e solitaria di Laird  		Hamilton  abbandonato precocemente dal padre e sottoposto alla dura  		umiliazione  razziale degli isolani, la forte amicizia e la cieca fiducia  		 reciproca fra Laird e gli indispensabili compagni Darrick Doerner e Dave   		Kalama nelle acque di Pehai (JAWS) nonché le tristi e sfortunate  		 circostanze che hanno portato alla scomparsa di Mark Foo nel 1994 a  		 Maverick, con tanto di filmato de “l’ultima onda”…
Le riprese  del protagonista Oceano sono spettacolari e vertiginose anche  		sa da  questo punto di vista il film soffre la concorrenza con i suoi  		 predecessori, 
Step Into Liquid in primis: le immagini sono sì   		molto belle e curate nelle inquadrature (bello l’effetto  tridimensionale  		talvolta ricreato in computer grafica) ma non  aggiungono nulla di nuovo  		a quello che ognuno di noi ha più o meno  già visto. Le foto sciupate, le  		riprese della vita surfistica nella  “vecchia” California a cavallo fra i  		’50 e i ’60 e la pellicola  sovraesposta dei vecchi, rovinati filmati  		d’epoca rappresentano  invece una delizia per gli amanti della old school  		come noi (e voi)  di 
SingleFin.it e non nascondono agli occhi dei  		più  attenti preziose testimonianze visive delle stravaganze della  		nascita  del fenomeno sociale e culturale legato al surf ( “Surf Nazi”…tanto  		 per fare un esempio…il resto divertitevi voi…).

Il vero aspetto originale del film sta nel mostrare la potenza e   		l’incuranza del mare nei confronti delle piccole macchie umane che  	 	rovinano scomposte giù dalle montagne d’acqua: veramente impressionanti   		sono, per esempio, le riprese di Maverick “full-power” e dei set  anomali  		che costringono i temerari surfisti a lasciare la line-up  per,  		paradossalmente, trovare la via del largo per sfuggire al  ricciolo  		funesto. Finalmente in un film le riprese di wipe-out  rappresentano la  		metà delle scene, non solo onde perfette e supereroi  alieni ma anche  		belle cadute!
Per finire, un’ultima nota  sulle musiche: bella la colonna sonora,  		curata la selezione dei  brani, storici o meno: le superbe immagini di  		Laird Hamilton che  sfugge ai 20 metri hawaiani accompagnato dalle  		splendide e classiche  note delle Gymnopèdies di Erik Satie (1888) non  		possono che passare  alla storia…
Che dire? Se ve lo siete persi sul grande schermo non resta che  		recuperare adesso! (mamat)