Un Hollow body moderno: l'esperimento industriale
La struttura si presenta proprio hollow body, cioè cava all'interno, priva persino di centine trasversali: il solo elemento di collegamento tra deck e bottom sono i bordi.
Immagino che Tom Blake sarebbe rimasto affascinato dalla moderna tecnologia, non tanto per i risultati ottenuti, quanto piuttosto per come essa permetta agli occhi della mente di scavalcare molti dei limiti costruttivi che si parassero davanti.
Il povero Tom ha avuto geniali intuizioni appena 80-90 anni fa, che si sono rivelate commercialmente solo negli ultimi due o tre anni. Tralasciando il lato storico e soprattutto quello commerciale non farò nomi, tuttavia molti sanno come le novità tecnologiche all' "interno" delle nostre tavole abbiano inciso sul mercato degli ultimi anni, se non rivoluzionato l'approccio di molti surfisti, soprattutto in ambito shortboard. Dal lato puramente tecnico le soluzioni sono differenti seppur vicine come idea, e cioè alleggerire la tavola per ottenere maggior manovrabilità senza tuttavia andare a scapito della giusta rigidezza del prodotto. La strada del "core" in composito sembra essere tracciata in maniera quasi definitiva da vari produttori. Di per se la cosa mi potrebbe lasciare del tutto indifferente, in quanto, se da un punto ingegneristico l'evoluzione può essere apprezzabile, di per se l'ambito surfistico rimane tecnologicamente molto indietro rispetto ad altri casi, primo fra tutti l'aeronautico, poi la nautica in generale, ed anche a quelli di più largo consumo come possono essere lo stesso caso automobilistico. Inoltre, e non me ne vogliano i costruttori stessi, credo si tratti di trovate più che altro commerciali, in quanto in termini prestazionali non credo siano necessari materiali cosiddetti "evoluti", men che meno nell'ambito che prediligo che è quello del longboard.
Allora vi chiederete che cosa c'entri questo articolo. Ebbene, al di là di ogni considerazione di mercato, sono rimasto affascinato dalla soluzione proposta da una ditta estera in fatto costruttivo. La struttura si presenta proprio hollow body, cioè cava all'interno, priva persino di centine trasversali: il solo elemento di collegamento tra deck e bottom sono i bordi. Nell'intenzione del costruttore questo conferisce una certa flessibilità (che può essere personalizzata dall'acquirente tramite la scelta di una certa "distribuzione di flessibilità" piuttosto che un'altra) che viene unita alla rigidezza naturale della struttura di carbonio, portando ad un risultato che consenta quindi di immagazzinare una certa quantità di energia nella tavola stessa sfruttando proprio la mancanza di gran parte della trasmissione della deformazione sotto sforzo dal piano superiore a quello inferiore, a contatto con l'onda, della tavola stessa. Questo "accumulo" di energia si manifesta con un aumento della velocità e quindi una progressiva accelerazione, elemento di per se positivo, che facilità l'esecuzione delle manovre sulla parete dell'onda. Il richiamo alle hollow body di Blake è evidentemente solo parziale in quanto oltre alla leggerezza, in questo caso si intende ottenere una componente dinamica diversamente assente. La soluzione è effettivamente interessante anche se può lasciare alcuni dubbi circa la tenacità della struttura, notoriamente molto bassa nel carbonio, che porta con se fragilità e bassa resistenza moti improvvisi. In produzione, tutti shape famosi e consolidati, ci sono anche dei longboard, che hanno attratto la mia attenzione. Proprio in questi caso mi viene da riflettere sull’effettiva validità della soluzione, soprattutto in fatto di fragilità longitudinale in caso di forti torsioni. La struttura risulterà sicuramente maggiormente omogenea rispetto all’unione di foam, longherone in legno e panno di vetro, tuttavia ha dei costi produttivi sicuramente superiori, che necessitano assolutamente di macchinari per essere competitivi. Non è mia intenzione esprimere un giudizio definitivo, quanto piuttosto valutare la valenza pratica di questo processo costruttivo. In termini di cifre indicative si può dire che i filati di grafite HT (cioè il tessuto in carbonio) posso sopportare uno sforzo a trazione di circa 3100 MPa e Modulo di elasticità a trazione di 220 GPA, con una deformazione da meno dello 0,5% ad una massimo di 1,4%. Per contro il caso della fibra di vetro che possiede assai minore resistenza meccanica (2410 MPa) e rigidità (69 GPA) e quindi subisce una deformazione fino al 3,50% prima di rompersi. Conseguenza di ciò è che, sebbene il carbonio sia molto più leggero, esso ha il grave problema di subire una rottura fragile ben prima di una struttura in fibra di vetro. Ogni discorso ha il suo limite infatti è ben facile pensare che pesando meno della metà della fibra di vetro, a cui poi dovremmo aggiungere il peso del foam, possiamo utilizzare fibra di carbonio in quantità maggiore garantendo maggiore tenacità, anche se questo può essere un grosso limite comunque, e non solo per i costi.
In merito a questo, la ditta in questione garantisce una effettiva resistenza delle tavole hollow, ben 2 volte e mezzo maggiore di quella delle tavole normali, in foam e fibra di vetro, a cui si unisce la possibilità di svuotare l’interno dall’eventuale acqua tramite un’opportuna plug. In definitiva rimango perplesso sulla effettiva utilità del prodotto in se, soprattutto nel caso dei longboard e funboard, al di là della mera invenzione commerciale (che pure è apprezzabile), soprattutto in parallelo con gli shapes che rimangono di per sé, volutamente, datati. Tuttavia rimango piacevolmente affascinato dall’idea progettuale in se, che mi appare come una delle più originali oggi sul mercato, seppur di lontana origine.