Shapers: Intervista con Michele Puliti, OlaSurfboards
Abbiamo fatto due chiacchere con Michele Puliti, pioniere del surf in Italia nonchè uno dei primi shaper della penisola. Da ormai otto anni la sua passione per le tavole si è concretizzata ufficialmente con l'apertura della sua "shaping room" Ola Surfboards in Versilia, Pietrasanta. Per la qualità dei materiali utilizzati, per la cura delle finiture ma soprattutto per la passione che Michele infonde in ogni sua nuova creazione pensiamo che i suoi prodotti siano fra i più interessanti del "made in Italy".
E, ovviamente, sono tutti rigorosamente "hand made"...
Ma sentiamo cosa ha da dirci...
SingleFin.it: Caro Michele, come sai SingleFin.it è particolarmente attento all’aspetto storico e culturale del surf, longboard in particolare. Sei stato uno dei primi surfisti italiani e hai contribuito con il tuo lavoro allo sviluppo di questa passione anche in Italia. Raccontaci quale è stata la prima volta che hai sentito parlare di surf o visto qualcuno usare una tavola dalle nostre parti…
Michele Puliti: Più o meno nell’estate del 1981…ero un bambino e avevo 10-11 anni, non mi ricordo bene, e avevo visto Ario Bertacca che cominciava insieme a Francesco Farina a praticare il surf…al Bagno Wanda a Marina di Pietrasanta. Ne rimasi subito affascinato e decisi di farmi la prima tavola…e da lì ho iniziato! Chi sono secondo te i personaggi italiani da ringraziare per aver introdotto il surf da noi? E’ difficile da dirsi…ci sono delle realtà differenti a seconda delle zone…c’è chi dice che il surf è nato in Toscana, chi nel Lazio…non è facile risalire. Secondo me tutto è nato in quegli anni, anno prima anno dopo, nessuno sapeva niente…si vedeva qualcosa in televisione ma veramente sporadicamente e di certo non c’era la moda. L’evento storico, almeno dalle nostre parti, è stato quando un bel giorno il Farina e Michele Dini si sono svegliati e hanno detto: “Il surf all’estero lo fanno! Perché non si fa anche noi???”. Hanno preso un pezzo di legno…un “qualcosa”…e sono entrati in mare…e da lì è nato tutto. All’inizio eravamo in tre gatti e si usavano tavole autocostruite perché non c’era niente che arrivava di serio…poi si sono scoperti gli spot: il Molo di Viareggio, il pontile di Forte Dei Marmi, il Cinquale a Montignoso e via…ma sai, all’inizio ci si spostava poco, eravamo piccoli e avevamo solo la bicicletta! Stando un po’ alla storia dello sviluppo della scena surf italiana verrebbe da dire che la Versilia sta all’Italia come la California sta agli Stati Uniti…condividi questo (azzardato) paragone? Senz’altro si! Perché anche dal punto di vista logistico era quella che si prestava di più: con piccoli spostamenti potevi trovare nel giro di pochi chilometri tanti spot con caratteristiche differenti…beach-break semplici all’inizio, per imparare, perché non si aveva idea assolutamente di come si doveva fare, non c’era la conoscenza delle onde, delle correnti…pensa che al Pontile ci andavamo a surfare ma nessuno aveva capito che si poteva sfruttare la corrente di rientro rasente ai piloni, fintanto che non è arrivato qualche straniero e si vedeva che camminava lungo il pontile come un missile…e si disse “porca miseria!!!”. Renditi conto dell’ignoranza…era tutto un imparare! Quindi qualche straniero veniva in Italia? Mah…in effetti nessuno prendeva in considerazione l’Italia seriamente. Qualcuno veniva, ma mancavano le attrezzature…se ti chiedevano un Surf Shop non sapevi neanche cosa fosse! Si usavano solo tavole autocostruite. Passiamo ad altro, sappiamo che dal punto di vista surfistico nasci dalla tavoletta…cosa ti ha avvicinato al longboard? Sono nato come “tavolettaro” se si può definire così chi utilizzava le tavole che c’erano allora, perché non c’era altro… all’inizio andavano molto dei 7 piedi, singlefin, molto spesse…tavole che erano giuste per poter cominciare. Poi abbiamo conosciuto i long che all’estero ero usati da sempre e ci siamo avvicinati a tavole un po’ più lunghe…intorno ai 240cm (si ragionava in cm ai quei tempi!), fatte strane: molto larghe in prua, dietro molto strette…un po’ inventate, ecco. All’inizio la molla è stata il desiderio di surfare più a lungo: mi sono accorto che più avevi la tavola grande più riuscivi a fare una cavalcata lunga. Quindi sei un classico o un progressivo? “SingleFin” o trifin? Fondamentalmente mi ritengo un surfista…nel senso di uno che va in acqua con quello che ha a disposizione. L’importante è andare in mare e divertirsi, con qualsiasi cosa. In effetti sono molto combattuto…mi piace molto lo stile classico ma se poi mi trovo davanti una bella parete liscia dove posso fare più manovre l’istinto mi porta a farle… Surf come relax, con gli amici o surf come spazio per stare un po’ in pace con te stesso? Per me è la stessa identica cosa perché quando vai in mare ti estranei da tutto quello che è fuori dall’acqua e in più hai la fortuna di stare fra amici…poi ogni giorno è diverso dall’altro…dipende da come sei predisposto. La tua passione per la costruzione delle tavole vanta ormai un’esperienza decennale…quando hai iniziato di preciso e dove? Ho cominciato che avevo 11 anni a casa dei miei, precisamente in giardino e poi…vabbè, lasciamo perdere…anche in salotto! Pensa che la prima tavola l’ho costruita prendendo spunto da delle foto prese da un giornale e qualche immagine vista di sfuggita in televisione…a occhio, insomma! Poi cominciarono ad arrivare le prime tavole vere…qualcuno andava all’estero, comprava una rivista, un libro e chi era più fortunato si portava dietro magari una tavola presa in California e da lì sono comiciati i “cloni”…tutti con la stessa tavola! Si andava un po’ a stagioni: c’era la stagione del “single fin”, quella del “due pine”, poi venne il truster e via…Il problema era che per fare le tavole ci voleva il materiale, e il materiale costava. Quindi l’unica maniera per avere una tavola nuova era vendere la tua vecchia tavola, la davi magari all’amico e il giro si allargava…poi qualcuno cominciò a chiedermi di costruirgliele. Adesso è già più di 20 anni che faccio le tavole e da 8 anni ho aperto questo laboratorio. La tua attività di shaper è solo un lavoro, una passione oppure un’arte? Tutte e tre le cose insieme sicuramente. Ogni tavola che fai è diversa da un’altra, una creazione… Come si riflette questo tuo “longboard lifestyle” nella tua professione di shaper? Ti stimola di più la sfida nel cercare di creare qualche nuova linea, qualche nuova soluzione idrodinamica oppure ti piace ispirarti ai grandi maestri classici internazionali? Ovviamente se vuoi fare un buon prodotto bisogna ispirarsi a chi ha grande esperienza…come in tutte le cose. Però non disdegno di provare nuove cose e tante piccole prove le faccio sulle mie tavole personali. Soprattutto quello che cerco di fare quando devo costruire una nuova tavola è parlare con il cliente per capire che stile ha e cosa vorrebbe dalla tavola nuova…lo shaper non è altro che la macchina che realizza il sogno del surfista… Bella questa! Hai qualche shaper preferito che consideri un modello? Diciamo di no. Dipende poi da cosa devo fare. Se per esempio mi chiedono una tavola classica, anni’60, il punto di riferimento per me è un Velzy piuttosto che un Jacobs. È chiaro che se invece mi chiedi una tavola più performante (…stai tranquillo non te la chiedo…nota di SF) sicuramente andrei a vedere le tavole australiane che hanno delle linee d’acqua e degli accorgimenti più performanti. Sappiamo che hai avuto la fortuna di lavorare in California e di conoscere il grande Takayama…cosa ti ha colpito di più della mentalità che gira da quelle parti e cosa, invece, pensi che manchi da noi? Innanzitutto il surfista dovrebbe essere un surfista sempre…è uno che cambia la sua vita in funzione dei ritmi del mare. E in California respiri proprio questa mentalità: la gente va a fare la spesa con la tavola sopra la macchina, surfano tutti e nessuno guarda l’altro, la domenica ti capita di vedere l’intera famiglia che va a surfare…forse noi per ora non abbiamo valorizzato questo sport nella maniera giusta, non abbiamo fatto capire a chi non surfa cos’è questa passione e cosa ci sta dietro. Da un po’ di tempo anche da noi si assiste al “revival” del classic style, cosa ne pensi? E’ nato come moda, non solo dalle nostre parti ma soprattutto all’estero e noi ci siamo adeguati. Però devo dire che il ritorno di tanti tipi di forme ha senso dal punto di vista tecnico: queste tavole ti permettono di surfare in maniera più facile, più a lungo e soprattutto in maniera più divertente. Quindi secondo te in Italia il longboard (e il surf in generale) è più un fenomeno di moda oppure è una vera passione che si riflette nel modo con cui guardi il mondo? Per alcuni è moda…per altri è molto di più. I surfisti che lo fanno seriamente, con passione, sono quelle persone che quando vai in mare è sempre un piacere trovarle…quelle persone con cui condivido il vero spirito del surf. Abbiamo visto che hai sfornato dei bei shapes classici con tanto di pinne in balsa…quale è la cosa che apprezzi di più lavorando col legno? Mi piace lavorare il legno perché è qualcosa di vivo, di naturale, caldo. Ma soprattutto gli oggetti in legno sono diversi dalle solite cose che trovi in giro. Certo, ci si rifà sempre a forme del passato perché l’uso del legno risale ai primordi del surf. Perché, secondo te, nonostante la tecnologia ci offra sempre più moderni metodi costruttivi continuiamo a rimanere affascinati dai materiali tradizionali? La ricerca senz’altro è una cosa importantissima. Una tavola leggera è una tavola più performante in certe situazioni…certo, non bisogna andare all’eccesso. Secondo me, le tavole tradizionali hanno “un qualcosa” in più, particolarmente dal punto di vista emotivo: sono sempre fatte e rifinite dalle mani di una persona e soprattutto vedi sempre cosa c’è dentro…e poi alla fine dipende da cosa chiedi alla tavola: una tavola classica deve essere una tavola classica mentre per una tavola performante i nuovi materiali possono essere la soluzione migliore. Quale pensi che sia il modello di longboard più adatto alle nostre condizioni italiane? Una persona che ha disposizione una tavola sola deve avere una tavola da “bosco e da riviera”…una “all-around” per dirla all’inglese: io consiglierei un 9’2’’ di lunghezza per 22’’ di larghezza per 2’’3/4 di spessore, con un nose un po’ larghino, intorno ai 18’, concavo, un doppio concavo sotto negli ultimi due quarti della tavola e una poppa un po’ stretta, magari “round squash”. Per le pinne direi un tre pinne: due laterali removibili e una centrale da 7’’. Un’ultima cosa e ti lasciamo ai tuoi impegni (…oggi ci sono le onde!); se percaso qualcuno venisse a cercarti e non ti trovasse al laboratorio in quale spot dovrebbe andare a cercarti? (una maniera elegante per chiederti qual è il tuo preferito….) Qualsiasi spot dove ci siano onde belle. Solitamente vado al pontile e poi ci sarebbe quel secret spot…ma ogni surfista ha il proprio secret spot!
Allora la prossima volta ce lo fai vedere anche a noi!
per chi volesse maggiori informazioni su Michele o sul lavoro che svolge vi inviatiamo a visitare il sito web www.olasurfboards.com
[a cura di Marco Matteucci / SingleFin]
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